Il pensiero e la poetica di Paolo Ferrari

Trascrizione di un incontro alla Libreria Tadino di Milano

Descrizione dell'evento

Historia d'una lingua e le sue personealtre
I temi e i concetti centrali del pensiero scientifico e della poetica di Paolo Ferrari lungo l'iter delle sue opere principali edite da O barra O.

Insieme all'autore intervengono:
Luciana La Stella, filosofa
Susanna Verri, psichiatra, psicoterapeuta (Centro Studi Assenza)
Paolo Ferrari e la performer Erika Carretta leggeranno passi scelti dalle opere

Libraio: Io come libraio volevo dire due cose: la prima che sono molto onorato della presenza di Paolo Ferrari e del fatto che abbiamo potuto ospitare questa serata per me molto interessante e importante, per le cose che lui ha fatto e che ci racconterà, che sono i suoi libri, le opere e tutte le iniziative che nel corso degli anni ha saputo costruire. La seconda che questo è forse il modo migliore per iniziare un rapporto con ObarraO, tra libraio ed editore c’è questa sinergia, questa volontà di collaborare ancora. Voi sapete tutti che ci sono le cosiddette librerie indipendenti, come siamo noi; ci sono editori indipendenti come per esempio ObarraO e ognuno di noi cerca di vivere e di fare il proprio mestiere al meglio: vuol dire che siamo fuori dai circuiti dei grossi editori, dei grossi distributori e abbiamo tutti i nostri problemi per riuscire a far venire qua i lettori per cui noi selezioniamo i libri, così come gli editori indipendenti hanno i problemi, come dire, a farsi conoscere. E quindi, una strategia è proprio questa, di riconoscersi a vicenda e lavorare assieme, proponendo iniziative come questa, o altre che abbiamo progettato e adesso stiamo annunciando: questo ciclo di incontri di approfondimento di vari aspetti dell’islam, o altre cose che presenteremo. Questa serata è anche benaugurale per me per questa collaborazione fra libraio e editore che vogliono lavorare assieme. Avrete notizia in futuro di altre iniziative comuni. Questa sera, la parola al prof. Ferrari, a cui non aggiungerei nulla. Paolo Ferrari: Questa sera abbiamo pensato, dato il percorso che abbiamo compiuto, di un pensiero, di un particolare pensiero che è il pensiero che abbiam chiamato pensiero d’assenza, il quale pensiero si occupa di una attività particolare del corpo-mente, il quale nasce dove non dovrebbe nascere, nasce in un altrove, è straniero a se stesso. Si sa, in Europa, nel mondo, c’è questo problema dello straniero, dell’invasione dell’altro. Se gli uomini incominciassero a sapere il fatto che questo altro è dentro di loro, e che questo altro, se non ci fosse questo altro, questa estraneità e questo straniamento rispetto a sé, loro non potrebbero né pensare, né agire, né aver piacere anche, tutto quanto potrebbe cambiare. Io mi son messo su questa strada fin da ragazzo, giovane universitario dentro il laboratorio a cercare come funziona questo cervello, quali sono i suoi presupposti, perché il processo dell’estinzione, perché estinguere il processo di pensiero, perché la memoria che viene cancellata, o comunque viene evacuata, oppure lo stimolo che viene continuamente lavato dal cervello: questo è uno degli elementi fondamentali del nostro cervello. Se noi, dico sempre, se noi per un minuto, trenta secondi, quaranta secondi ricevessimo tutti gli stimoli che ci circondano, senza una distinzione continua che il nostro cervello fa, e quindi una cancellazione, e quindi una discriminazione tra ciò che sta ascoltando e quello che invece non deve ascoltare, ciò che sta vedendo e invece quello che lo distrarrebbe, il cervello esploderebbe facilmente, sono convinto, non ce la farebbe a stare dietro a tutto quanto. Quindi al centro di tutta questa situazione c’è questo processo, questo stato, questa condizione che è questa condizione di mancamento, di vuoto, di assenza, ma anche di estraneità: questa assenza è anche uno straniamento. Io sono assente a me stesso e in quanto sono assente a me stesso allora incomincio a pensare, posso pensare. Il bambino nasce e nel momento stesso in cui nasce, oppure già nell’utero probabilmente, incomincia a essere assente rispetto a sé – incomincia, si dice al sesto mese poi al secondo anno, terz’anno, incomincia a riconoscere il non-io, conoscendo il non-io che è l’altro, che è l’altro di sé, che è l’altro del mondo, attraverso di questo poi incomincia a dire ‘io’, che è un elemento straordinario perché io non è niente: non è un luogo, non è un corpo, non è lo specchio, non è un viso, non è niente. É ‘io’, e ‘io’ è niente. Quindi è un nulla già questo fatto. Pensiamo continuamente attraverso questo nulla, però non ne sappiamo niente. Il problema dell’umano è il fatto di incominciare a sapere qualche cosa di questo nulla che dentro la testa e gli permette di agire le cose, perché se no le cose non possono essere agite, non possono essere conosciute. Tutte le cose che l’umano pensa hanno dentro questo segno -, se no le cose non potrebbero entrare dento alla sua capoccia. Questo è il percorso attraverso cui tutto il mio lavoro, incominciato dal quart’anno di Medicina, il quint’anno di Medicina, in cui, attraverso i miei esperimenti su questi elementi, ero stato invitato, unico italiano, al Congresso mondiale di Londra di Psicologia Sperimentale: [per i miei esperimenti] sui ratti i quali ratti imparavano a disimparare, a estinguere la loro memoria di quello che avevano imparato. Estinguendo questo erano bravissimi, molto più bravi degli altri. Allora, andiamo dietro ai linguaggi, quali linguaggi ci possono essere per scrivere questo nulla … Ho incominciato a scrivere il Libro blu. Il ‘compagno senza morte’ è il nulla, questo nulla è l’assenza da sé, e l’assenza dall’io, è la capacità di conoscere oltre questa presenza – come adesso sto facendo. E questo vuol dire generare un’attività particolare del cervello, il quale cervello, di tutti quanti, ha questa capacità di poter generare in questo luogo che poi viene invece inquinato spessissimo dall’io, dall’ego, dal possesso, dalla distruttività, dall’aggressività, da tutti questi altri elementi perché questo nulla è difficile tenerlo, e difficile tenerlo imbrigliato, a meno che il cervello non impari un’altra lingua. E io ho incominciato a studiare quest’altra lingua e a scrivere quest’altra lingua: in termini poetici - prima scientifici, poi poetici, poi ho scritto ultimamente De Absentiae Natura, un poema di undicimila versi che dice questo. In undicimila versi continua a dire questo. Ma dice questo attraverso il metodo scientifico, attraverso di quello che la fisica contemporanea, la biologia contemporanea, la genetica contemporanea sta scoprendo. Io l’ho scritto in termini di poema, ma andando anche oltre, un pezzettino oltre quello che è la genetica contemporanea, o la biologia contemporanea o la fisica contemporanea che sta studiando questi limiti sconosciuti dell’essere, dell’essere vivente, dell’essere fisico dello spazio e del tempo, e io ho fatto questo passettino e sono andato a scriverlo e a descriverlo. Stasera faremo un viaggio attraverso questo processo che è il processo del nulla. Ognuno di voi riceverà questo elemento del nulla, del mancamento, del segno -, dell’io che viene a mancare, dell’assenza che si impossessa di lui, però se ne difende, comunque un pezzo di lui rimane, e chi questi vari pezzi può incominciare a farli parlare col cervello rinnovato. Io sono capace di farlo, c’è la mia performer, che è eccezionale, che adesso ve li farà sentire, e anche adesso il suo cervello, il suo cervellino si sta preparando, si sta preparando a trasformarsi. Poi c’è Susanna Verri che è la mia collaboratrice principale, notevole psicoterapeuta e studiosa di questo campo, che conosce questo campo e ha conosciuto insieme con me in questi anni; c’è Luciana, che ormai fa parte di questa equipe, la quale ha incominciato a lavorare intorno a uno di questi vari processi, intorno a un libro che ho scritto, La Destituzione del Giorno del Giudizio, lei ci ha lavorato parecchio e attraverso questo il suo cervello ha incominciato a lavorare intorno a questa Destituzione del Giorno del Giudizio, intorno a questa mancamento di questa parola che invece intrappola l’umano, nomina le cose e nominando le cose le blocca perché non è capace di andare oltre alla nominazione, pensare oltre a questo bloccante del pensiero. E adesso io darei la parola a Erika, facciamo un Prologo che è il Prologo dell’ultimo lavoro che sto scrivendo, che pubblicherà ObarraO. Lo pubblicherà a tomi, a puntate: ne ho scritto una prima parte, poi una seconda parte, …. Questo è come se fosse la continuazione in Italiano del Finnegans wake di Joyce. Anche questo ha dei giochi di parole, soprattutto una cosa che ho inventato per dire questa lingua diversa, delle parole composte: l’italiano ha pochissime parole composte, ce l’ha degli oggetti, soprattutto delle cose, l’aspirapolvere, per esempio, ma non ce l’ha dei concetti, mentre il tedesco ce le ha. Io conosco il tedesco, mi sono ispirato anche a certe cose della lingua tedesca, e ho scritto delle parole composte. Lungo questo componimento ci sono delle parole composte per cui, la prima parte della parola è detta naturalmente, è detta come se fosse parte di questo racconto; la seconda parte invece, l’io deve incominciare a sottrarsi, deve stringersi, andare all’interno, fare una specie di capriola, lasciare in sospensione la parola, e poter dire potentemente, più forte della prima, con questo passaggio di sospensione, questa giravolta su se stessa. E questo, questa scrittura di Opusminus-0 – si chiama Opusminus-0 quest’opera – ha questo nel suo nucleo centrale. Il Prologo per esempio ha queste parole, oppure delle interruzioni che sono scritte come delle ondine in cui la parola viene aspirata e cambia condizione, oppure: sentimentoignaro, e lei lo dice, lo dirà molto meglio, femminadispecie, dispecieumana. La parola che diventa profondità di un io che perde, in quel momento si perde e lascia venir fuori la parola più liberamente. Adesso do la parola a Erika Carretta che ci racconterà di questo Prologo, ci dirà il Prologo. Lo sa perfino a memoria, sa a memoria una serie grandissima di questi pezzi, anche dirà a memoria il De Absentiae Natura, ha una capacità di memoria straordinaria. Tutti questi pezzi a memoria, non interi. Erika Carretta: Più o meno le prime pagine, di solito.

Da OpusMinus-0 Prologo L’inattesa historia del dott. Paulus –Poliantroposnovus-nato, vissutoe- morto quasiper-caso. Circa il-concepimentomancato

Paolo Ferrari: Questo è anche una continuazione di Tristram Shandy, ha tutta questa … questo testo che qui è all’inizio, questo è il Prologo, che adesso è arrivato al Dialogo tra i due cervelli, tra le due metà del cervello, gli ultimi scritti. Però stasera non riusciamo a fare in tempo, volevamo leggerli, ma non riusciamo. È un testo molto impegnativo, ma è anche molto divertente, piacevole. Questo sarà di diversi tomi, perché ogni giorno ci lavoro. Ogni giorno ci penso e ci lavoro, scavo questa lingua perché l’italiano sia la lingua del futuro, in un certo senso. Questa lingua madre che non è più madre, questa lingua madre che buca il corpo della madre e diventa questa alterità, questo straniero che può parlare. Perché poi questo si riflette in tutte le varie attività che facciamo, dal punto di vista dell’architettura, dal punto di vista dei lavori sul territorio: tutto questo straniero che deve parlare, che può accompagnare: Milano che deve diventare città ospitale, noi l’ospitiamo con questa nuova lingua. Adesso Susanna, Susanna Verri: Susanna Verri: Paolo ha già detto tantissime cose. Io aggiungo la mia voce con qualche breve punto di riferimento in una storia che è lunghissima, che inizia - se vogliamo qua come “Historia di una lingua e le sue personealtre” possiamo farla iniziare dalla pubblicazione del primo libro, Paolo ne ha accennato prima, Paolo e il suo compagno senza morte, un romanzo di ricerca pubblicato da Guido Le Noci, della galleria Apollinaire, fondatore della Galleria Apollinaire, il quale scriveva nell’introduzione: «Un libro che apre al lettore nuovi spazi e voci dell’esistere. Il libro che sognavo di pubblicare». Libro importante per l’epoca ma importante per aprirci la strada verso la figura di questo scienziato artista musicista e poeta che all’epoca di questo libro lavorava già da tempo, come vi ha detto lui, all’Istituto di Psicologia della Facoltà di Medicina dell’Università Statale di Milano, come ricercatore. Una doppia attività scientifica e umanistica, una formazione che l’ha portato attraverso studi in diverse discipline a poter essere musicista e poi poeta e poi artista: artista-scienziato, come si definisce. Nel 1994, facciamo un salto di un bel po’ di anni per arrivare a uno scritto che è in tema con questa sera, un saggio che esce sulla rivista Zeta news di Campanotto insieme a tutta una serie di saggi, come Interludio dell’Assenza, Interludio dell’Assenza come una forma vuota e astratta perché la lingua nuova possa essere pensata e poi parlata. Era un saggio appositamente composto, con la scrittura del saggio che poi Paolo ideò per quella serie di saggi, che furono quattro + uno, l’Interludio, in cui doveva dar conto di un pensiero nella scrittura: il pensiero di cui parlava lo faceva nascere nella scrittura, che non poteva occupare la mente. Scriveva nell’Interludio: «La lingua deve comunicare, ma anche subito sparire. … mai occlusa nella mente di chi ascolta e di chi legge. … Come svuotare, annullare la realtà finora esistita. …con un nulla attivo e positivo, con l’astrarla. Una lingua nuova e positiva. Il significato subito si mostra e si dilegua. Il suono è avvertito e subito tace». Questo nel’94. Ci abbiamo messo molti anni per arrivare a sentire direttamente questa lingua, come stiamo facendo questa sera da Erika, che ci farà ascoltare le diverse forme, le diverse narrazioni, e anche alcune delle apersone – ovvero sia le persone che nelle opere teatrali di Paolo Ferrari parlano e vivono questa lingua e ne sono trasformate, per cui escono dalla loro condizione consueta di persone, bucano, come diceva lui, il luogo della vita segnata dall’eccesso di cosa, e sono altre, altre fondamentalmente nel loro essere apersone, da Astratta Commedia la prima opera teatrale, e poi Le stanze di Rita che sentiremo questa sera, che è anche andata in scena in alcune piéce, Oblida. Una lingua che ha queste caratteristiche sembra essere proprio nel solco di quella letteratura che fa dell’aperto, che fa dell’essere - come diceva Blanchot, l’attrazione del fuori, il moto dello scrivere sotto l’attrazione del fuori – così nell’ambito di Paolo Ferrari all’ennesima potenza. Con anche delle forme linguistiche apposite: citava lui prima la costruzione delle parole composte del nuovo testo OpusMinus-0, ma già da prima, già non solo con la scrittura innovativa del romanzo di ricerca Paolo e il suo compagno senza morte, ma anche con certe forme apposite, parlava Paolo del saggio-racconto pubblicato da Aracne, La Destituzione del Giorno del Giudizio, ancora prima il saggio-romanzo: gli aforismi che diventano strofe-pensiero nel testo che ha vinto nel 2008 il Premio Lorenzo Montano, Saggio-poema del pensareassente erano 200 aforismi/strofepensiero. Ovverossia scriveva Bonacini nell’introduzione, parla di un contenuto teorico in una tensione poetica astratta, ovvero le strofe-pensiero. Che poi diventano i 1364 aforismi/stofepensiero di Homo-Abstractus pubblicato da ObarraO qualche anno dopo. Quindi una lingua che attraversa tutte le possibili forme e arriva alla poesia, e arriva al testo di OpusMinus-0, forse il più avanzato o anche il più fascinoso con questa sua tessitura-scrittura o partitura musicale, come diceva Paolo in un suo scritto, testo che lui assimila a una rete cerebrale. Terminerei con una citazione da Poesia è, un ultimo testo, un inedito di questo anno: 130 definizioni di poesia: “Quando la parola sta per nascere e farsi strada nel mondo, in quell’interstizio fa capolino un oggetto fatto di niente, che sostituisce l’antica parola e già l’ha fatta nuova o recente.”

Paolo Ferrari Adesso Erika legge il Poema, l’inizio del Poema. De Absentiae Natura. Erika Carretta Da De Absentiae Natura Nel principio dell’incompleto - Gesto d’avvio pg.49

Paolo Ferrari Di solito il Poema l’accompagno al pianoforte. Questo è un poema che può essere, in questi vari punti viene anche cantato. Spessissimo la mia scrittura segue anche l’idea di una partitura musicale. Sono compositore di una musica particolare, di musica contemporanea che in particolare è Musica in-Assenza. Lavoro con musicisti, musicisti sia classici, ho lavorato con un compositore notevole, Vittorio Zago, e abbiamo vinto anche premi internazionali di composizione. Una delle formae mentis mie è la composizione musicale. La composizione musicale che ha questa altra lingua che parte da Stockhausen in avanti, da Kurtag e arriva fino a sbriciolare, a svuotare, questa condizione particolare di questo straniamento, di questo perdere l’oggetto, l’oggetto nel momento stesso – adesso ha detto un bel po’ di versi, oppure ha narrato OpusMinus-0: voglio vedere chi è capace di nuovo di narrarselo, questo perché la specificità di questa scrittura è quella del fatto di entrare nella mente di chi sta ascoltando, o di chi sta leggendo, e poi improvvisamente scomparirgli davanti. Ma questo, non la scomparsa perché fugge, ma perché sta scavando un solco nella mente, una strada in questa mente, e questo solco ha questa capacità di essere niente, e quindi di liberare un pezzo del corpo-mente, del corpo psicologico e del corpo anche fisico. Io sono medico e studioso delle attività nervose superiori: mi occupo di un corpo, ho studiato per anni e anni e anni come funziona un corpo. La testa che ci fanno a Medicina di come un corpo è fatto, me lo son portato appresso: adesso togliamone dei pezzetti, ma non per far lo spirito, perché lo spirito non mi interessa. Per fare questo corpo che diventa meno, questa mente che è capace di diventar meno, questo scavarsi di linee, di strade, di capacità per poter andare a vedere questo gioco dell’Incompleto, questo gioco dell’Infinito. Adesso tocca a me leggere. Leggerò due brevi poesie da I colpi del-Nulla che è il mio libro di poesie per adesso principale, dove sono raccolte diverse raccolte di poesia. Ho scelto due poesie brevi – mi piacciono le poesie brevi, come mi piacciono gli aforismi. Ho scelto due poesie dalla raccolta che si chiama – ha un nome particolare – Aritmandalet. Ha dentro la parola ‘mandala’, l’aritmetica, ‘aritm’, ha il ritmo, la cesura, ha questa t che è il tempo. Ho scelto due poesie sul lavoro, perché attualmente c’è il problema del lavoro, c’è il fatto che questo lavoro manca, non solo ai giovani: questo lavoro che è stata l’attività fondamentale dell’umano, a poco a poco mancherà e verrà sostituito, verrà sostituito dai robot, dalle macchine. E il lavoro sarà quasi un privilegio: chi avrà il lavoro, chi potrà occupare questo corpo-mente con una cosa attiva, concreta, sarà a mano a mano un privilegiato. Queste poesie sul lavoro io le avevo anche pensate, costruite nelle prime fasi della mia ricerca, del mio lavoro in campo pittorico, in campo della forma, della forma visiva perché avevo lavorato in una fabbrica, una multinazionale francese. Mi era stato chiesto di proporre, di porre in questa fabbrica le mie opere, che venivano riconosciute come opere di grande potenza, perché potessero fare dei percorsi in questa grande fabbrica – 30.000 mq - in cui c’erano pochi operai, c’erano poche maestranze perché c’erano i robot, era stata robotizzata. Le maestranze si perdevano in questo grande spazio, non trovavano dei punti di riferimento. Allora ho messo diverse opere, ma anche dentro i macchinari, le presse – era una fabbrica in cui venivano costruiti, e sono costruiti, dei mattoni, delle tegole, viene trasformata l’argilla. Ho messo trentacinque opere di grandi dimensioni: queste opere a mano a mano sono servite come punto di riferimento per gli operai. Aveva lavorato con me in quel tempo, su questo progetto, Anna Lafranconi, che è adesso uno dei punti forti della casa editrice ObarraO: è stato il primo lavoro notevole dal punto di vista dell’intervento sul territorio, in mezzo agli umani, in mezzo al lavoro. E da questo lavoro sono nate queste poesie. Io come sperimentalista avevo previsto - e avevo proposto queste opere anche come diminuzione degli incidenti sul lavoro. Nei primi cinque anni sono diminuiti del 50%. Dopo i primi cinque anni a poco a poco c’è stata una assuefazione della mente a queste opere, non sono state cambiate a sufficienza, non sono state ruotate a sufficienza, poi credo che siano ritornati. Ma io avevo fatto un lavoro per cinque anni e avevo detto: per cinque anni questo lavoro porterà a una diminuzione degli incidenti sul lavoro ed erano diminuiti del 50%. Anche perché sono servite queste opere nelle fasi notturne, siccome è una fabbrica a ciclo continuo, queste opere venivano, sono illuminate e sotto a queste opere le maestranze si riunivano, diventava una specie di costellazione: “Ci riuniamo sotto Africa in-Assenza o sotto …”.

Da I colpi del-Nulla L’uomo del lavoro

Adesso tocca a Luciana La Stella, la quale è pensatrice, editrice. Fammi qualche domanda.

Luciana La Stella Infatti volevo fare tipo come un’intervista. Questo titolo bellissimo di stasera ha scelto questi libri bellissimi della casa editrice ObarraO che sicuramente questa tua parola e questo tuo scritto lo rendono anche bello esteticamente, con tutti i riferimenti, figure, edizione proprio molto curata. Volevo fare una considerazione: atteso che ogni lingua è un prisma attraverso il quale noi riceviamo una particolare visione del mondo, della cultura e organizzazione sociale a cui apparteniamo, sento che questa lingua espressa in queste opere diverse, dal romanzo alla poesia al teatro, riescono in maniera diversa, ognuno per la propria capacità di udire e di sentire, riportano un modello, un pensiero, una filosofia che ci appare nella poesia, nei versi come il poema della scienza, ma appare anche nel romanzo La destituzione del Giorno del Giudizio perché anche lì in questo percorso si incontra ancora un discorso scientifico. Percepisco che anche nel linguaggio tuo musicale o nel gesto e nell’opera pittorica, ancora questa scientificità e questo pensiero si percepisce in maniera molto delineata; mi veniva in mente nelle opere la carta millimetrata, che anche lì dà un’idea scientifica. E allora, però soltanto la scientificità forse non basta ma ci vuole una parola che comunque accolga, e sento che in questo scritto, in questa lingua c’è un po’ una contaminazione perché nell’assenza, nel venir meno, quindi nel venir fuori tutto un universo poetico – perché veramente è uno scritto che è grandissimo, ed è sempre di più: si arriva all’Opusminus-0 come uno scritto che doveva essere forse lo scritto prima dello scritto – c’è un percorso che va avanti da molti anni, che probabilmente in modo diverso aiuta a capire come entrare in quest’assenza. Ecco, io volevo - siccome questo prisma lo sento, perché leggendo ci arriva questo pensiero e questa parola – volevo farti una domanda come sia possibile esprimere in modo diverso un pensiero e poterlo far comprendere, da questo punto di vista proprio di una storia di una lingua che muta, va avanti, cambia, ora in versi, ora in prosa, ora in teatro, ora anche nel saggio delle Lezioni. Una comunità di ricerca che lavora su questo. Paolo Sì, quindi, come si fa a tramandare. Luciana Esatto. Paolo Be’, questo è un problema che ho da tutta la vita. Da quando avevo dicott’anni, o cinque anni. Incominciavo già a dire - mi ricordo, mia mamma mi diceva – : “Ma il mondo è diverso, non è fatto così, non è…”. E mi ricordo che io, anche con i miei amici, io ho girato varie città d’Italia, mio padre era un vecchio socialista il quale scendeva in sciopero con gli operai e dava le dimissioni. Per cui mia madre - noi siamo cinque figli – prendeva i figli, noi siam passati da Torino, dove mio padre era nato e mia madre anche è torinese, era di origine torinese, anzi, da Modena perché il mio trisnonno è il famoso commediografo Paolo Ferrari, che era stato nei primi anni dell’ottocento il più famoso commediografo italiano, piazza Paolo Ferrari è il mio trisnonno – da Modena comunque a Torino, è mio padre poi è andato a Genova, da Genova quando c’è stata la fase critica con la Germania è stato portato a Mauthausen, è stato due anni a Mauthausen, lui per fortuna era pianista, aveva l’orecchio assoluto, era ingegnere – l’han fatto lavorare come ingegnere dal punto di vista tecnico, poi l’hanno fatto suonare: avendo l’orecchio assoluto poteva accompagnare i cantanti i quali non avendo mangiato, o molto poco, in alcuni punti sbagliavano intonazione, e mio padre era capace di seguirli immediatamente dal punto di vista pianistico, e i tedeschi impazzivano per questo, l’hanno portato a Berlino, e quindi se l’è cavata andando a Berlino. Ha fatto un anno a Mauthausen, terribile, di cui non ha mai voluto parlare, poi abbiam trovato qualche scritto, ma non ha mai voluto parlarne. È andato a Berlino, a Berlino l’hanno liberato i Russi, poi è ritornato a casa che pesava quaranta chili, era partito che ne pesava circa ottanta – quarantacinque. E mio padre diceva spesso: “Che strano mondo è questo”. Improvvisamente si fermava e diceva: “Ma che strano mondo, non è così”. E io sono cresciuto con questo, con mio padre che aveva questa capacità eccezionale, suonava, suonava anche con un trio, ma anche in pubblico; i miei fratelli uno suonava il violoncello, l’altro suonava il violino, e io son cresciuto e mi addormentavo mi ricordo col trio di Beethoven, il trio dell’Arciduca, è straordinario. E però questo trano, questo strano che si sentiva anche nel poema, che dice come è strano questo mondo, questa stranezza del mondo è quella stranezza che in generale non si vede, tutti gli altri dicono:”No, no, il mondo è fatto così”, ma non è vero, il mondo è molto più complesso, il nostro cervello è molto più complesso di quello che noi di solito usiamo, ma noi ne usiamo una parte, ma perché non riusciamo a vedere tutte le altre parti, ma che sono in atto, non è che non siano in atto: questo bicchiere, come lo vedo io, io lo vedo in maniera molto più complessa di come lo vede un altro, ma anche molto più semplice. Però io su questo bicchiere adesso potrei incominciare a scrivere un aforisma. Allora: come trasmettere questo, allora incominciamo a scrivere, allora incominciamo a fare i Seminari, allora abbiamo incominciato a fare i Seminari – da quanti anni facciamo i Seminari? Susanna Tantissimi, più di trenta. Trentacinque. Paolo Ho fondato il Centro di Corso Venezia, poi da Corso Venezia siamo andati in via Stromboli. Il problema che ho sempre: come tramandare questa cosa. Una volta morto io, come fa a parlare? Però, la mia ipotesi, come scienziato dico: questo è un sistema maggiore, è un sistema più complesso dell’altro che fino adesso si è conosciuto in generale – tranne l’Arciduca, Beethoven nei quartetti, Finnegans Wake, … ci sono tutti questi punti avanzatissimi del cervello umano che vanno a toccare questi punti, ma anche le grandi religioni, Buddha, Gesù Cristo, vanno a cercare certi punti. Il cristianesimo l’ha portato avanti, c’è stato San Paolo che ha detto: “Adesso vi spiego”. Il Buddha ha fatto le sue conversazioni, i suoi scritti, si è portato avanti, però nessuno che conosca realmente cosa voglia dire risveglio, cosa voglia dire questa assenza, cosa voglia dire questo nirvana che è assente, questa filosofia che è assente, però ci sono dei semi che si sono inseminati. Allora, io dico, siccome il sistema, questo sistema è un sistema maggiore, ed è un sistema più complesso, Ubi maior minor cessat. Dato questo sistema maggiore, quello minore deve saper includere – e comunque sta già includendo – questo insieme maggiore. Non solo, ma dall’evoluzione della specie Homo sapiens, dall’evoluzione in generale a partire dal Big Bang di cui si è parlato prima, quello che si è visto è che quando il sistema diventa complesso, diventa capace di autoorganizzarsi. Cioè diventa capace di assumere lui una complessità che prima non c’era, e quindi di autoorganizzarsi e quindi organizzare un sistema più complesso di quello precedente. Basta che il sistema, ci sia una disseminazione sufficiente perché elementi in quantità sufficiente siano capaci di produrre questa possibilità di un’organizzazione complessa: attraverso questa, mano a mano, mano a mano, mano a mano, dalle piante agli animali, l’evoluzione insegna questo. Insegna che vi sono stati dei tratti, improvvisamente, in cui c’è un’autoorganizzazione, fino a che l’animale, si è organizzato l’animale, le cellule hanno incominciato a cambiare, è nato il procedimento sessuale che prima non esisteva, è nato l’uomo. Nascendo l’uomo si è formato questo cervello, il quale ha quattro miliardi di cellule, questi quattro miliardi di cellule sono capaci di organizzare i processi più complessi. Questi processi complessi adesso, maggiormente complessi, io dico, io dissemino il mondo di processi complessi, continuo a farlo, ormai da cinquant’anni, se non prima, e dico vediamo cosa succederà. Non lo so, però vedo che Susanna ci capisce, vedo che tu incominci a capirci, vedo che lei sa recitare questo, vedo … ho i miei figli che sono psichiatri, i nipoti li ho visti, incontrati qui … uno leggeva un vocabolario, un altro … ci sono tutti questi processi autoorganizzantesi, nascono dei libri di altissimo livello, di alto livello, nasce la scienza di alto livello, ma anche questa nostra civiltà attuale, la quale è da una parte un po’ rincoglionita, cioè così fluttuante, vuota, dall’altra parte si porta le tracce ancora del Novecento, sta cercando di trasformare queste tracce nel Duemila, ancora non ce la fa ancora perché il Novecento è stato un secolo per me non “breve”, per me è lunghissimo, complessissimo, ma perché va in profondità. Ma questa complessità il secolo attuale non è capace di assumersela per cui fluttua, taglia, modella, blocca, però dall’altra parte ci sono una serie di elementi che aprono, magari con l’aggressività, con l’Isis: l’inconscio sta venendo a galla. Ma in quest’inconscio c’è l’inconscio distruttivo, cattivo, c’è l’inconscio che ha questo nulla, che ha questo vuoto generativo, di autoorganizzazione. Io penso che, dato un sistema maggiore che stiamo mettendo in atto, questa autoorganizzazione si possa fare. Questa è una mia idea, ma è anche un’idea scientifica, l’evoluzione nasce così: se il sistema maggiore include, il sistema minore è incluso, da un punto di vista della logica matematica, il sistema minore viene incluso da un sistema maggiore. Se la complessità incomincia ad avere un suo peso, questa complessità vince sulla semplificazione – sulla semplicizzazione, non sulla semplificazione. Ho scritto un Poema che narra tutto questo tema. Il tema di questa complessità che si dà dentro a dei versi, e dei versi che raccontano una storia, raccontano questa storia dell’umano, questa storia dell’evoluzione ma questa mia stessa storia. Adesso tocca a Erika. Adesso ci sarà Oblida che è una apersona, fa parte di una pièce che ho scritto, che abbiamo dato per circa un anno al nostro Centro e in diverse zone di Milano, che racconta di questa perdita della memoria, di questo problema grossissimo che c’è attualmente allo studio, dell’Alzheimer, o comunque di una perdita di memoria. Questo Oblida prevede il fatto che la perdita della memoria non sia una perdita totale ma che attraverso questa perdita nasca qualche cos’altro che non conosciamo ancora. Questo perdere, questo sottrarre faccia nascere un qualche cosa che sta al di sotto di tutto questo, che noi non conosciamo ancora. Che sta dentro al cervello. Questa è la prima pagina, è il primo tratto di Oblida.

Erika Da Teatr’Absentia Io-Dimentico / Oblida. Della-dimenticanza-estrema

Paolo Oblida si svolgeva anche con altre due persone in scena, di cui una è un soprano che riprende alcune parole e le fa risuonare con una certa intensità, mentre lei ha queste parole che poi a poco a poco, in questo “sono sola” c’è l’estinzione della parola, anche qui c’è la parola che vien meno. Questo dopo tanti lunghi allenamenti che facciamo, in modo tale che questa parola che viene detta a poco a poco porti dentro la radice di questa dimenticanza di sé, e anche la parola si dimentica di se stessa. E questa dimenticanza di se stessa della parola è quella cosa che scava, è quella cosa di cui non sappiamo nulla, di questo perdere, di questo perdersi ma che è anche il morire. Il morire è una perdita, di cui non sappiamo nulla. Ne sappiamo soltanto fino a un pezzo, sappiamo … sappiamo dell’agonia, sappiamo… e poi questo perdersi, questo spegnersi, questo mancare dal punto di vista laico, dal punto di vista scientifico. Non ne sappiamo nulla però diciamo c’è questa perdita della sostanza. Questa perdita della sostanza è quella che dentro al cervello ha fatto nascere la parola, la quale è una perdita della sostanza, la quale è una significazione, la quale è poter nominare una cosa senza che questa cosa ci sia. Questo io che nomina, che è mancante nel momento stesso che nomina. Adesso devo leggere. Nell’essere di meno la raccolta.

Da I Colpi del-Nulla Credo-al-lavoro-umano

Sofia, vieni a leggere un pezzetto di Homo-Abstractus? La strofa-pensiero è un aforisma dei mille e cento aforismi che vi sono, circa, in questo Homo-Abstractus che è l’homo di cui stiamo parlando stasera. Questo che leggeremo parla guarda caso dell’abitare. Io lavoro con un architetto, con un’ urbanista e stiamo facendo un livello di Milano, un livello di pensiero di Milano, Milano con il suo diverso abitare, diverso essere abitato. Questo diverso straniero che viene accolto e che viene in un certo senso esaltato, nel senso che lo straniero ci serve.

Sofia Da Homo-Abstractus Aforisma / strofa-pensiero N. 236

Paolo Ecco come si tramanda, vedi come si tramanda. Adesso c’è una pièce da Le stanze di Rita che è un altro libro che ha pubblicato ObarraO. Questa non è pubblicata perché è l’ultima stanza di Rita che ho scritto dieci giorni fa. Rita è questa apersona speciale che io ho conosciuto, che conosco, che in un certo senso diciamo che curo, da ormai trent’anni, ma che ha delle caratteristiche speciali. Il libro scritto intorno a questa apersona di nome Rita parla di un soggetto il quale è un soggetto che non sa se esiste, se non esiste, se il mondo esiste, se l’altro esiste. Ma non ha un’interrogazione filosofica, perché non è in grado, perché questa persona ha fatto la terza, quarta elementare, però è in grado, nel suo cervello, di domandarsi, chiedersi come stanno le cose, come son fatte: i suoi orecchini, i suoi oggetti, il suo braccialetto, la sua borsetta, il suo camminare, perché cammina in quel modo, perché sta al mondo in questo modo, perché, chi è suo fratello, perché suo fratello le parla, oppure perché il mondo è fatto come una scena, che scena è questo mondo. E questo per cui, in questo suo linguaggio, a volte anche un po’ caotico, questo caos porta sempre nel suo cuore un’essenza dell’umano, un’essenza del vero, un’essenza di un qualche cosa che interroga sull’esistenza del nostro essere al mondo, del nostro essere uomini pensanti che hanno un cervello, il quale cervello si esprime con tutti questi vari tipi di linguaggio. Uno di questi linguaggi, una lingua, questa è la lingua di Rita. Questa si chiama – il titolo è sempre in fondo, tra parentesi – I giorni passano e è un racconto della quotidianità, fatta in un certo modo. È letta perché è appena fatta, è stata fatta da dieci giorni. Non la sa ancora a memoria … magari la sa già …

Erika Da Le Stanze di Rita I giorni passano Paolo Avete sentito un po’ di personaggi, vedi come si tramanda… Attraverso questo cervellino, grande cervellone. Grande performer, brava! Siamo verso la fine. Io devo leggere un’ultima poesia, che invece questa è recentissima, è del libro che devo pubblicare, pubblicherò con l’editore Saya, che doveva essere qui stasera ma si è rotta la pompa dell’auto sull’autostrada, ed è rimasto sulla Firenze-Milano. Questa è brevissima. La raccolta si chiama I sentimenti gloriosi. In passato avevo scritto I sentimenti umani, il passaggio dai sentimenti umani ai sentimenti gloriosi, questi sentimenti che stanno alla periferia della coscienza, che certe volte entrano nella coscienza, certe volte no, certe volte vanno oltre a progettare, a prospettare un sistema maggiore, quel sentimento particolare che è il sentimento sia umano, sia vero, ma anche sublime. È anche la strada che apre a questo infinito, questo che sentito, ascoltato stasera in tutto questo excursus, questa lingua che si mette lì a disposizione, si dà, si offre in questa grande, enorme complessità. Questa poi è anche accompagnata, qui c’è anche un Pozzo, cosiddetto Pozzo sul quale di solito ci poniamo a far queste esperienze di recitazione nelle librerie, in luoghi adatti, deputati. Questo è un Pozzo, chiamato Pozzo perché è la trasformazione di un pozzo della fine dell’ottocento che io ho fotografato, ho rielaborato, ho ripreso nelle diverse fasi dell’anno, nelle diverse ore del giorno, quindi ha dentro di sé la diversa luce che si compone nella realtà, nel suo riflesso che non è un rispecchiamento, vede altrove: ha dentro una giraffa, ha dentro la testa di Oblida. La poesia dice:

Da I sentimenti gloriosi Gesto di pensiero

C’è per terminare una Canzona che nasce, che è stata musicata da me e da Erika da una poesia de I colpi del-Nulla. La musica nasce intorno a una composizione di Monteverdi.

Erika Canzona

Paolo abbiam terminato. Saremo presenti a Book Pride, probabilmente a Book Pride verrà proiettato un film sulla nostra attività che abbiamo appena terminato, che un film maker ha fatto. Su tutta questa attività, sia quella letteraria, scientifica, filosofica, sia quella architettonica e urbanistica. Vi salutiamo.