Recensione
Amirilli Novel, Mangialibri, 27/11/2012

Legno sacro

Nord della Cina. Tang Zhaoyang e Song Jinming stanno cercando la prossima vittima, “il bersaglio”, come lo chiamano loro. Non è la prima volta che mettono in atto il piano: hanno guadagnato già un bel mucchio di soldi, ma non abbastanza da assicurarsi un futuro tranquillo. Girano per le strade, danno un'occhiata di qua e di là, e dopo qualche tempo lo avvistano: oggi hanno trovato un contadino dagli abiti sfatti e il viso lercio, che passeggia da solo. Proprio quel che fa al caso loro! Attaccare bottone è la parte più semplice: è sufficiente parlare della mancanza di lavoro e di soldi, della miseria – sì, c'è davvero troppa miseria in giro – e poi offrire una sigaretta, o magari più di una. Poi, quando sono sicuri di aver conquistato l'attenzione del malcapitato di turno, si passa alla fase successiva: i due raccontano di essere diretti verso una miniera di carbone un po' fuori città, nella quale c'è bisogno di nuovi lavoratori e la paga è buona. Le vittime sono tutte persone disperate, poverissime, partite dalle campagne mesi prima alla ricerca di una fortuna mai trovata e quindi chiedono subito di potersi unire al viaggio. Non è mai semplice convincerli a cambiare nome, a dimenticare la vita di prima e a trattare Tang Zhaoyang e Song Jinming come dei fratelli, ma in un modo o nell'altro i due riescono a farlo ogni volta, perché sanno sempre come ottenere quel che vogliono. Poi basta una picconata nel buio, alcune pietre spostate sul cadavere per simulare un incidente e far sgorgare qualche lacrima quando si chiede il rimborso al padrone per il “parente” perduto. Sembra facile, fin troppo facile... Romanzo breve o racconto lungo che dir si voglia, Legno sacro è una storia crudele e spietata, basata su fatti che accadono realmente nelle miniere cinesi – ambiente nel quale l'autore, Liu Qingbang, ha lavorato per nove anni. Sebbene il tema sia intenso, è difficile vederne i particolari: è come se si dovesse scavare un po' tra le pagine per far luce sui dettagli della vicenda. Non è chiaro, infatti, in quale epoca si svolga la storia fin quando non s'incontra una brevissima descrizione di una donna che «in giacca di pelle rossa, il cellulare incollato all’orecchio, passa lavorando instancabilmente di lingua e di gambe» e per leggere qualcosa di più sull'estrazione del carbone bisogna attendere la fine del libro e il racconto di un ragazzo che per la prima volta si addentra nel sottosuolo. Lo stile è scarno, rude e i dialoghi si succedono l'uno all'altro, quasi senza spiegazioni. A fine lettura resta un senso di squallore – che ben si accorda con il tema principale del libro –, ma anche di incompiutezza: “[...] «È bella tua moglie?» «No.» «Come, è brutta?» «Ha una boccaccia grande come una scarpa.» «Ma la bocca grande è un bene, ho sentito dire che le donne che hanno la bocca larga sono larghe anche di sotto, e quindi non hanno problemi a sfornare figli. Quanti te ne ha dati tua moglie?» «Due, un maschio e una femmina.» «Quale è il più grande? Il maschio o la femmina?» «Il maschio.» «Quanti anni ha la femmina?» «Quattordici.» «Che ne dici di darmela in moglie? Le do 10.000 yuan come regalo di fidanzamento!» Tang Zhaoxia s’infuria: «Tu… tu… come ti permetti [...]”. Sembra spesso che tra le righe di Liu Qingbang manchi qualcosa: un'immagine più dettagliata, una delucidazione, un punto di riferimento. La scena più avvincente è quella in cui uno degli adescatori cerca un bersaglio, ma teme egli stesso di esser stato adescato: crea suspense, è costruita con cura e chiarisce bene quanto l'imbroglio ordito dai due protagonisti sia diffuso in Cina. Purtroppo però una scena singola non basta a scostare del tutto la tenda di oscurità che avvolge Legno sacro. Sulle miniere si è scritto tanto, Giovanni Verga in Rosso Malpelo è riuscito a estrarre un ritratto vivido da profondità buie e terrificanti; usciti dal romanzo di Liu Qingbang, invece, ci si trova addosso una testimonianza importante, una polvere nera, fine, ma un po' più superficiale.