Recensione
Alessandra Spalletta, Agi China24, 24/03/2010

Recensione

Per alcuni sono i salvatori dell'economia dopo la crisi; per altri sono la prosecuzione della politica con mezzi finanziari e rappresentano interessi opachi: sono i fondi sovrani, e quello cinese, in particolare, è oggetto del libro di Alessandro Arduino “Il fondo sovrano cinese” edito da O barra O Edizioni in collaborazione con il Cascc. Dalla sua comparsa sulla scena, China Investment Corporation (CIC) è stato sempre considerato con un misto di interesse e preoccupazione. I fondi sovrani obbediscono a un'agenda politica? E se questa massa di capitale venisse usata per approvvigionamenti di materie prime a prezzi tali da distorcere gli equilibri di mercato? AgiChina24 prende spunto dal libro per tentare di interpretare una realtà complessa. “Figli” della crisi e smottamento di potere, all'inizio della crisi finanziaria, i fondi sovrani di Kuwait, Corea del Sud e Singapore firmano una spettacolare operazione di salvataggio: 69 miliardi di dollari messi a disposizione per pompare liquidità in Citygroup e Merril Lynch, le due banche d'investimento infartuate a causa di una esposizione alla crisi dei mutui subprime. Le Tigri asiatiche salvano gli Stati Uniti dalla Grande Recessione. Perché i fondi sovrani fanno paura? Davanti al valore aggregato di 3 mila miliardi di dollari, l'Occidente impallidisce. Se siamo di fronte a uno slittamento del potere economico dai paesi liberali alle nazioni governate da forme di capitalismo autoritario, i fondi sovrani ne costituiscono l'architrave. Perché tra i più temuti dei fondi dovrebbe collocarsi proprio quello cinese? La politica monetaria di Pechino ha sempre favorito investimenti a basso rischio, mediante l'acquisto di buoni del Tesoro: la trasfusione finanziaria in favore di banche e società d'investimento, in contemporanea alla fragilità dei mercati internazionali, ha alimentato molti dubbi in merito all'azione dei fondi sovrani. Cos'è il CIC? Perché la Cina si ammanta di riserve in valuta estera? Per esorcizzare il rischio di shock finanziari. È ancora viva la memoria della crisi che mise in ginocchio le Tigri Asiatiche nel 1997. La Cina allora resse grazie all'inconvertibilità della sua moneta. Oggi le casseforti di molti paesi dell'Asean Plus Three (fondato nel 1999, l'ASEAN+3 comprende Cina, Giappone e Corea del Sud) contengono preventivamente una quantità di valuta estera superiore ai debiti contratti con le banche straniere. Cina in primis. Risultato: oggi le riserve cinesi hanno toccato quota 2399 miliardi, marcando un nuovo record. Quando si dice che la Cina finanzia il debito pubblico americano, non bisogna stupirsi: l'acquisto dei bond americani, come si è visto, è considerato da sempre un investimento a basso rischio. Ma anche a basso profitto. Con una dotazione iniziale di 200 miliardi di dollari, il fondo sovrano cinese è stato creato nel 2007 su impulso del Ministero delle Finanze proprio con la missione di diversificare parte delle immense riserve valutarie in investimenti più retributivi rispetto ai Treasury Bonds americani. Dinanzi ai sospetti di chi lo bolla come il “braccio finanziario” di Pechino, il direttore Lou Jiwei ha spesso tentato di sgombrare il campo da possibili equivoci, dichiarando che il CIC intende essere un “investitore passivo, che controlla quote di minoranza”. Prerogativa del CIC è perseguire obiettivi a lungo termine, in linea con la politica economica del socialismo di mercato, basato su piani di sviluppo quinquennali. Il CIC non è nato sotto una buona stella. Su di esso pesa una difficile eredità: l'iniziale esposizione di Lou Jiwei alla gogna mediatica, un eccesso di zelo dovuto alla necessità di contrastare la concorrenza di un potente rivale, il SAFE (Safe Administration Foreign Exchange), controllato dalla PBoC; e un difetto congenito di nascita. Diversamente dai fondi sovrani di altri paesi, infatti, il CIC non attinge direttamente alle riserve valutarie, ma nasce attraverso l'emissione di obbligazioni preferenziali con la garanzia di un interesse del 4,5%. In altre parole, se il fondo non vuole andare in perdita, i profitti giornalieri non devono essere inferiori a 300 milioni di yuan. Una cifra spettacolare che ne spiega la primordiale ansia da prestazione. Le prime operazioni gettano il fondo sovrano sotto la luce dei riflettori mondiali: il CIC acquisisce il 10% delle azioni di Blackstone. Davanti alla mossa cinese - una operazione da 3miliardi per entrare nel capitale di una delle più promettenti finanziarie americane in fase di Opa - negli Stati Uniti si diffonde un sentimento di profonda preoccupazione. In realtà l'azione cinese si rivelerà un disastro: Blackstone è destinata a perdere nel giro di pochi mesi più del 50% del suo valore; con uno sconvolgente effetto domino, crollano anche i titoli delle altre due realtà in cui il CIC ha investito: Morgan Stanley e il fondo statale The Reserve. Lou Jiwei è costretto a rivedere la strategia d'investimento: queste consistenti perdite iniziali, benché ammortizzate dalle ingenti riserve valutarie, lo costringono a far fronte alle pressioni interne. La Cina, infatti, sta vivendo un passaggio focale della trasformazione strutturale del proprio modello di sviluppo economico: la riconversione da un'economia orientata all'export e agli investimenti diretti esteri, a una economia trainata dai consumi interni, richiede un costo elevato. "Sarà compito del CIC generare una parte sostanziale degli attivi necessari", chiarisce Arduino.Veniamo ad oggi. Se nel 2008, oltre agli investimenti legati alla finanza americana, non possiamo dimenticare quegli interni operati tramite Central Huijin per la ricapitalizzazione delle quattro maggiori banche d'investimento, nel 2009 il CIC ha acquisito quote di minoranza in numerose compagnie chiave dell'economia USA, tra cui Coca-Cola, Apple e Goodyear; altri investimenti sarebbero stati indirizzati verso l'energia, il settore minerario e quello del real estate in diverse nazioni, tra le quali Brasile, Australia, Kazakhstan e Indonesia. Gli utili del 2009 potrebbero superare i 10 miliardi di dollari e gli organi ufficiali riferiscono di un possibile aumento di capitale (che sarebbe passato da 200 a 300 miliardi di dollari). Molte supposizioni, poche conferme: le operazioni del CIC restano di difficile tracciabilità; dopotutto, la segretezza è una prerogativa di tutti i fondi sovrani. Il CIC ha chiaramente messo in atto una nuova strategia tesa ad investire buona parte delle risorse nell'accaparramento di riserve minerarie ed energetiche. Circola persino voce che all'interno del CIC venga creata una divisione specializzata nella gestione delle commodities. Del resto è noto che il Dragone ha sete di materie prime. Così come è noto che la Cina da tempo abbia puntato gli occhi sull'Africa. Un passo indietro: scenari La Cina sta comprando il mondo? Negli anni 80 era diffuso il timore della conquista nipponica, oggi alla paura nipponica si sostituisce quella cinese; tanto che “il colpo di mano della Mitsubishi UFJ nei confronti del CIC”, di cui nel libro si fornisce un'ampia descrizione, "viene accolto positivamente dall'opinione pubblica americana". All'epoca, ai titoli allarmistici della stampa americana "i giapponesi comprano il cuore di New York", il presidente della Sony Morita rispondeva: "se non volete che il Giappone compri, basta non vendere". Il paragone tra il Giappone degli anni ottanta e la Cina di oggi finisce qui? Nel fornire una chiave di interpretazione a un dejà vu imperfetto, Arduino colloca le azioni del fondo sovrano all'interno di un complesso quadro finanziario e geopolitico. "In questo momento di crisi, l'orizzonte d'investimento si è rarefatto, arrivando quasi al day trading: il mantenimento di un'ottica di lungo periodo porterà a un livellamento della volatilità dei mercati globali.” Se il CIC presenta ancora lo svantaggio di avere competenze inadeguate a seguire l'evoluzione dei mercati in cui è presente, lo scarso uso di strumenti di leva finanziaria (modalità che hanno configurato la principale debolezza degli hedge funds, con gravi conseguenze nei bilanci delle maggiori banche e società d'investimento mondiali) ne costituisce un evidente vantaggio, spiega Arduino. Il CIC avrà quindi un effetto stabilizzatore anche dei mercati finanziari? Oppure l'Occidente deve temere le azioni di un fondo gestito in modo poco trasparente e ambiguo (tratto comune a molti fondi sovrani)? Non è semplice collocare le linee guida del CIC all'interno di un quadro ideologico ingessato; l'espressione “socialismo di mercato", da sempre ritenuto un ossimoro, è oggi diventato una formula di cui la crisi finanziaria avrebbe incoronato la vittoria, espressione dell'unico Paese che è stato in grado di aggredire la crisi in tempi record tanto da far sperare, nonostante le ripetute smentite del Premier cinese, che il Dragone potesse trainare le altre economiche fuori dal tourbillon della crisi finanziaria. Alla mano invisibile di Adam Smith, scrive Arduino, si è andato a sostituire un modello di sviluppo economico contrapposto, che oggi potrebbe rappresentare per le economie asiatiche una reale alternativa. Come abbiamo visto, il fondo sovrano cinese viene alla ribalta sulla scena internazionale in una fase di smottamento degli equilibri monetari globali che, con l'avvento della crisi nel post-15 settembre (data del fallimento di Lehman Brothers) vedono spostare l'ago della bilancia gradualmente a favore delle economie asiatiche, che riescono ad organizzare una risposta tempestiva ad efficace - Cina in testa - alla recessione globale, anche grazie alla ventennale riforma del sistema bancario che oggi appare più solido. Malgrado gli sforzi messi in campo per contrastare la crisi abbiano presentato un conto salato alla leadership cinese - la nuova sfida di Pechino si misura oggi in termini di lotta al credito facile, gestione dello scenario inflazionistico, rischio di una bolla speculativa nel settore immobiliare e azionario, raffreddamento dell'economia - la Cina ha chiuso il 2009 con l'obiettivo agognato: una crescita del Pil dell'8,7%, la soglia minima per garantire la stabilità nel Paese. Ma non va dimenticato che il temuto fondo sovrano si coniuga con un Paese che presenta ancora profonde sacche di arretratezza, un “paese in via di ri-sviluppo”, specifica Arduino ad AgiChina24. "La Cina si presenta all'estero come un monolitico colosso economico, la cui base però poggia ancora su piedi di argilla". La transizione verso una economia trainata dai consumi è ancora un obiettivo lontano: Cina e Stati Uniti ancora fortemente interdipendenti e il "modello economico cinese è ancora in simbiosi con il consumo americano". La contrazione della bilancia commerciale, che ha provocato uno shock anafilattico all'industria cinese, da un lato, e l'indebolimento del dollaro, dall'altro, hanno toccato un nervo scoperto. Wen Jiabao a Davos, attaccando gli Usa come fonte della crisi finanziaria, ha espresso pubblicamente le preoccupazioni sugli effetti negativi che le politiche fiscali e monetarie americane potrebbero avere sul dollaro, e quindi sulle riserve detenute dal Dragone. Alle dichiarazioni di Wen ha fatto eco il governatore della Banca Centrale Zhou Xiaochuan con la proposta utilizzare i Diritti Speciali di Prelievo al posto del dollaro come architrave del sistema monetario globale, definendo un "pericolo" l'affidamento ad unica valuta. Gli Americani temono una fuga del Dragone dal dollaro, ma gli analisti escludono la possibilità di acquisti in valute alternative, come ad esempio l'euro. Sembrerebbe invece che a un disimpegno sul dollaro possa seguire un apprezzamento di minerali preziosi e commodities. Ad ogni modo, appare ormai chiaro che il Paese di Mezzo continuerà a sovvenzionare il debito americano fino a quando non avrà cambiato il suo modello di sviluppo. Il vero fronte ostile è il tasso di cambio: alle pressioni di Obama sull'apprezzamento dello yuan, ritenuto sottostimato e causa del surplus commerciale cinese, fanno da contraltare sia l'atteggiamento ottimista di Geither che tenta di smorzare le polemiche, sia un ruolo sempre maggiore della Cina all'interno degli organismi finanziari internazionali, come la recente nomina di Zhu Min a special adviser dell'FMI. Insomma, sembrerebbe che gli Stati Uniti stiano adottando la strategia del bastone e la carota. La Cina, invece, continua a rispondere alla pressioni americane ribadendo che la riforma del tasso di cambio sarà “graduale e controllata” - anche per consentire agli esportatori colpiti dalla recessione globale di recuperare, e accusa gli Stati Uniti di voler scaricare a un'altra nazione la risoluzione dei suoi problemi. Pechino si sta opponendo con tutti i mezzi all'apprezzamento della sua moneta, che non considera affatto sottostimata. Un vero muro contro muro. La Cina è inoltre convinta che un improvviso aumento di valore della valuta avrebbe l'effetto di incrementare un massiccio afflusso di capitali speculativi dall'estero –la presunta “hot money” - che andrebbe a causare un pericoloso scenario inflattivo. Il futuro L'Aquila, insomma, deve fare i conti con l'accresciuta influenza del Dragone. L'azione del fondo sovrano, da un lato turba l'opinione pubblica americana perché si presenta come un concorrente nel mercato domestico, dall'altro fa comodo agli Stati Uniti perché si fa carico– come in passato - di operazioni di salvataggio finanziario. “La Cina si aspetta che il suo status di banchiere dell'America si traduca in un accrescimento del proprio potere politico”, ha dichiarato di recente il congressman Michael Wessel. Le recenti misure anti-dumping sottolineano che l'Occidente sta reagendo a quella che viene percepita come ingerenza dei fondi sovrani con il ricorso al protezionismo. Ma non è una risposta sostenibile: "Al facile ricorso a protezionismo locale, che può nel medio-lungo termine portare a una chiusura dei mercati internazionali e a una conseguente implosione di consumi e produzione, risulta nell'immediato preferibile la progettazione di meccanismi di regolamentazione", sostiene Arduino. Oggi la Cina si presenta al mondo con una forte spinta nazionalistica. “Zhongguo Bu Gaoxing” (La Cina non è felice) - libro recentemente messo al bando dalle autorità cinesi - esorta l'utilizzo del fondo sovrano per acquisizioni strategiche e non per porre rimedio agli errori del modello liberista americano. "I maggiori rischi per il CIC sono in questo momento legati alla mancanza di una chiara strategia di sviluppo e alla dispersione degli investimenti”, chiosa l'autore. Quale sarà il futuro del fondo sovrano? Non è un mero strumento finanziario, ma la pedina di un gioco più ampio. Chiaro. È uno strumento di soft power per favorire la penetrazione economica cinese nel mondo. Chiaro. L'azione dei nuovi fondi sovrani potrà condurre il processo di globalizzazione a una nuova fase o marcherà un ritorno alla nazionalizzazione di beni e processi produttivi? La risposta la trovate nel libro.